Le Marche hanno un notevole patrimonio nell’ambito della cultura orafa. I molti laboratori presenti, specialmente nel periodo rinascimentale, su un territorio a prevalenza agricola sono la testimonianza di un legame profondo tra oreficeria e costumi marchigiani.
Un legame che nasce dalla compresenza di due fattori culturali: il senso religioso del popolo marchigiano, e il suo uso dell’oro come bene dotale tra famiglie gentilizie e popolari rendono da una parte gli arredi sacri, e dall’altra le suppellettili domestiche e i gioielli, le maggiori produzioni orafe locali.
Tipicità dell’oreficeria popolare marchigiana sono monili come le perugine. Diffuse in tutte le Marche fino alla metà dell’800, sono gioielli nuziali, orecchini d’argento dorato a fuoco, con dimensioni proporzionali alla ricchezza della sposa: il loro scampanio annuncia l’arrivo del corteo nuziale. Altro gioiello tipicamente locale, i pendenti di corallo hanno dimensioni legate alla ricchezza del marito che ne fa dono alla sua sposa. Le perugine e i pendenti di corallo, tipici doni nuziali, sono la dote di ogni ragazza da marito, e costituiscono l’ “oro della sposa”.
Tra i più importanti centri dell’arte orafa, sviluppatasi soprattutto dopo il tramonto del sistema feudale e il sorgere della borghesia cittadina, durante l’età dei Comuni e delle Signorie, primeggiano nelle Marche due città che, pur vantando un’antica tradizione, raggiungono il loro massimo splendore tra il Quattrocento e il Cinquecento: Ascoli Piceno e Jesi.
Preziose testimonianze di oreficeria artistica sono visibili in tutti i musei del Piceno, a conferma della diffusione di tale arte e del suo prestigio. Gli artisti ascolani del settore si formano tutti alla scuola del Vannini (1400) e favoriscono la diffusione di numerose botteghe orafe artigiane, consolidando una tradizione che si estende anche ad altre città della provincia picena, soprattutto a Fermo. A Jesi nasce e si forma l’orafo Lucagnolo, maestro di bottega nella Roma di Clemente VII.
Manca di un protagonista-simbolo, ma non di una tradizione antica e consolidata, la lavorazione dell’oro ad Ancona. L’arte della lavorazione dei preziosi nasce e si sviluppa ad Ancona a partire dal XVI secolo. Le chiese anconetane si arricchirono, specialmente nel Settecento, di arredi sacri lavorati con gusto, provenienti in larga parte dalle botteghe locali. Un’antica tradizione orafa vanta anche Loreto dove è fiorente la produzione di medaglie, corone e altri oggetti di devozione destinati ai pellegrini presso il santuario della Madonna lauretana.
Ad Urbino, il primo orafo di cui si abbia notizia è il maestro Pagiolo da Urbino. Numerosi gli orafi che operarono ad Urbino dal secondo Quattrocento in poi, per lo più cittadini urbinati. Ma per la città ducale di Urbino, come per tutto il territorio compreso nel Ducato, la vera età dell’oro è quella della signoria di Federico da Montefeltro e dei Della Rovere, da fine Quattrocento ai primi decenni del Seicento. Orafi locali e provenienti da Milano e Firenze arricchirono infatti lo splendore delle feste alla corte di Urbino, Pesaro o Senigallia. Una profusione di ori e argenti: lucerne, candelieri, vasi, boccali, confettiere, zuccheriere, calici e reliquiari di squisita fattura.
Numerosi anche gli oggetti di oreficeria sacra conservati ed esposti al culto, prevalentemente croci processionali e astili, in tutta la provincia di Macerata. Nessuna figura di rilievo pare abbia caratterizzato l’arte orafa di Macerata prima del XVIII secolo, quando emerge tra gli argentieri la creatività e il genio di Sebastiano Perugini.
Nella seconda metà del Settecento si impone a Macerata il nome della famiglia Piani che fonderà una vera e propria scuola d’arte orafa destinata a influenzare l’artigianato locale dei preziosi anche per quasi tutto il secolo successivo.